Se dovessimo riassumere con una parola pensiero, azione e etica del lavoro di Danilo Dolci, questa sarebbe comunicazione.
La ricerca di una comunicazione autentica, diretta, reciproca e limpida, basata su un’analisi etimologica accurata per raggiungere il vero senso originario e puro di ogni parola, accompagnò tutta la sua vita.
Danilo coinvolse centinaia di collaboratori, dai più alti intellettuali dell’epoca, a semplici contadini, padri, madri e bambini, in anni di ricerche analizzando in profondità il senso del comunicare e le sue implicazioni sociali, politiche e umane.
Il risultato di questo lavoro fu una bozza di manifesto contenuta nel libro Comunicare, legge della vita.
La fondamentale dicotomia tra trasmettere e comunicare è, secondo Danilo, alla base dei mali della nostra società. Ed è all’analisi di questo virus che camuffa questi due concetti che Danilo si impegna studiando, sperimentando e verificando ipotesi e idee, per
“identificare le concrete terapie, i profondi interventi necessari ai diversi livelli personali e strutturali: come apprendere a comunicare, apprendere a strutturarci maieuticamente”.
Danilo Dolci, Comunicare, legge della vita, Edizione: Lacaita, Manduria, 1993
Danilo fu uno scrittore prolifico, un poeta, un attivista dell’antimafia e uno strenuo difensore dei diritti degli ultimi, che usò la parola come mezzo potente di denuncia e resistenza, ricerca euristica, analisi e riflessione di gruppo, coinvolgimento e partecipazione.
Comunicazione come denuncia
Danilo arriva a Trappeto nel 1952 in uno degli angoli più remoti e dimenticati d’Italia, e lo trova in condizioni disperate di fame, precarietà igienico-sanitaria e carenza di ogni tipo di servizi primari essenziali. Il suo primo atto politico è il digiuno sul letto di un bambino morto di fame. Da quel momento, inizia la sua instancabile opera di documentazione e denuncia delle condizioni di abbandono in cui versa la Sicilia occidentale dal dopoguerra.
In Banditi a Partinico, Danilo raccoglie una serie incredibile di dati e racconti che tracciano un disperato quadro di fame, malattia, violenza e abbandono, dando voce agli abitanti, i delinquenti per fame e disperazione, banditi perché “messi al bando”, abbandonati da uno stato assente, in un contesto in cui la distanza tra povero e criminale sta solo in un pezzo di pane.
“Tra noi c’è un mondo di condannati a morte da noi. Talvolta, anche per giusta insofferenza, tenta di ribellarsi: col mitra e la galera si risponde”.
Danilo Dolci, Banditi a Partinico, Sellerio, Palermo, 2009
Danilo va a casa degli ultimi, parla con loro e racconta le loro storie dal loro punto di vista, lo fa in Inchiesta a Palermo, Conversazioni contadine, Racconti Siciliani: si delinea in tutta la sua prima opera di documentazione, inchiesta e denuncia, la volontà di non imporre una visione dall’alto, un’osservazione esterna e distaccata, ma di aprire la strada per una comunicazione reciproca, tramite testimonianze dirette, di una realtà cruda ma vera.
Il lavoro di documentazione e denuncia di Danilo indaga gli sprechi di denaro pubblico, la collusione e le connivenze clientelari mafiose nella politica locale e regionale, che gli costeranno quasi due anni di carcere.
L’esperienza più esemplare di comunicazione come denuncia è sicuramente quella della Radio Libera, o meglio la Radio dei Poveri Cristi, una voce clandestina che il 25 marzo 1970 lancia per 27 ore un accorato SOS per denunciare le condizioni di degrado della Valle del Belìce, dello Jato e del Carboi a due anni dal devastante terremoto del 1968, protestando ancora una volta contro l’abbandono dello Stato.
Dice Norberto Bobbio nella prefazione di Banditi a Partinico:
“Vorrei che queste pagine fossero lette da tutti coloro che in Italia, hanno una cattedra o un pulpito, e se ne servono per esaltare glorie nazionali magari remote, o per flagellare terribilmente i vizi dei cattivi cristiani. Sono pagine che scuotono sia la pigra sicurezza dei ripetitori compiaciuti di formule patriottiche sia il sussiego moralistico degli accusatori secondo le leggi stabilite. … Dopo aver letto queste pagine, ascoltate la risonanza sinistra o ironica che acquistano nel vostro animo parole come democrazia, giustizia, diritto, legge.”
Danilo Dolci, Banditi a Partinico, Sellerio, Palermo, 2009
La parola poetica
Di poesia abbiamo già parlato in un precedente approfondimento, ma affrontando il tema della comunicazione, non possiamo non citare la rilevante produzione poetica di Danilo, che accompagnò e completò il suo lavoro di denuncia fatto di documentazione, racconto e inchiesta, con un registro diverso, fatto di versi, di parole scrupolosamente scelte, che diventano nel tempo, sempre più essenziali, sempre più scarne. Danilo usava infatti rimaneggiare rielabora i suoi testi nel tempo, scandagliando parole più precise, concetti più mirati e immagini più immediate.
La poesia è sentita a volte da Danilo come un lusso di cui aver pudore, a cui concedersi con scrupolo: tante sono le incombenze, le urgenze e i concreti bisogni di una popolazione che muore di fame, che indulgere a fare poesia potrebbe apparire un colpevole vizio. Ma la poesia è strumento di creatività e crescita, serve a immaginare la realtà come potrebbe essere, a illimpidire mente e sguardo, e diventa un mezzo per comprendere a fondo l’uomo e la natura.
“Della natura, anche umana, la poesia non solo cerca leggere il codice: prova, umilmente, per quanto ancora è incompiuto, di comporlo. […] Vi è in ognuno, nel mondo, un enorme bisogno di poesia”.
Danilo Dolci, Dal Trasmettere al Comunicare, Sonda, Torino, 1988
La comunicazione euristica: la domanda come strumento di ricerca
L’approccio di Danilo, la Maieutica Reciproca, rappresenta la più grande innovazione e la sua più grande eredità. Arrivato in Sicilia, in un luogo così distante geograficamente e per usi, tradizioni e condizioni economico-sociali rispetto ai territori dove era nato e si era formato, Danilo non pensa di possedere la verità in tasca, di poter comprendere i problemi solo osservandoli dall’alto, di poter proporre soluzioni sulla base di soli studi, teorie, ricerche accademiche o riflessioni intellettuali.
Danilo fa domande: si approccia a chiunque incontri, contadini, pescatori, bambini e, con umiltà intellettuale, chiede, propone incontri, raggruppa le persone per indagare in maniera comune la radice dei problemi e immaginare insieme le soluzioni più adatte. La verità viene costruita, tramite le domande, ma insieme, nel continuo arricchirsi a vicenda, verificare ipotesi, cambiare idea, adattare pensieri e riflessioni sulla base dell’esperienza propria e degli altri. Questa è la maieutica reciproca che diventa approccio di ricerca, di coscientizzazione, di pianificazione strutturale, di cambiamento sociale, di educazione.
Dal Trasmettere al Comunicare
“Il comunicare autentico (difficile e raro esito di attenta reciprocità, non soltanto vicenda di simboli, parole) rinforza i sistemi immunitari della vita terrestre, ci libera dalle nostre parassitosi e si concreta in fonda economia, è indispensabile alla crescita civile”.
Danilo Dolci, Comunicare, legge della vita, Edizione: Lacaita, Manduria, 1993
Trasmettere (dal latino trans – mittere, mandare oltre) e Comunicare (dal latino cum – munus, mettere insieme i doni): la dicotomia tra questi due concetti e la confusione (inconsapevole o indotta) tra di essi porta con sé implicazioni che, secondo Danilo, impediscono il vero sviluppo della nostra comunità, traducendosi in una colpevole mescolanza tra “potere” e “dominio” e tra “educare e “insegnare”.
Danilo impiegò tutta la sua vita a denunciare i danni derivanti da rapporti unidirezionali e trasmissivi, che mortificano la creatività e le potenzialità di ognuno, e impongono un dominio dell’uomo sull’uomo, uno spreco di capitale umano e una repressione della libertà di ciascuno, che soggioga e soffoca.
Il dominio è la malattia del potere, il virus parassitario che impedisce il creativo sviluppo della società. Le “scuole-galere” che confezionano “ragazzi in serie” in cui si insegna trasmettendo nozioni pre-costituite senza distinzione tra stili, capacità, interessi e inclinazioni di ognuno, sono un esempio di violenza, di rapporto trasmissivo e di dominio, così come lo è lo sfruttamento della natura, della terra, degli animali e dell’acqua, sottomessi ai bisogni dell’uomo, e anzi, di pochi uomini.
A tutto ciò Danilo propone come alternativa la comunicazione, l’instaurazione a tutti i livelli di rapporti reciproci, basati su linguaggi e azioni intimamente nonviolenti: un modello di società in cui persone e gruppi mettano insieme i propri “doni”, esprimano il proprio potere, contrapposto al dominio, cioè la propria possibilità di essere e fare, di vedere valorizzate le proprie potenzialità, di mettere a frutto i propri valori e a loro volta fiorire, ciascuno secondo la propria essenza.
Così l’educazione si contrappone al più violento atto dell’insegnare e l’educatore, invece che imporre conoscenze, pone domande, interroga sé e gli altri e cresce insieme, in un reciproco adattamento creativo.
“Comunicare è intimamente connesso a creatività e a crescere: non si può essere creativi senza comunicare, né si può comunicare senza essere creativi. Silenzioso o esplicito, il vero comunicare non altera ma potenzia l’intimo segreto di ognuno.”
Danilo Dolci, Comunicare, legge della vita, Edizione: Lacaita, Manduria, 1993