“Pur l’acqua può morire”: riflessioni sul potere e sull’acqua

Chi poteva pensare che nella Sicilia occidentale degli anni Sessanta – tra campi aridi e popolazioni soffocate dal dominio della mafia, in cui si andava elemosinando scarse risorse idriche – l’acqua che si presumeva quasi inesistente divenisse uno strumento di liberazione e di volano economico? Rileggere l’esperienza di Dolci dal punto di vista di un elemento naturale fondamentale – quello dell’acqua appunto – potrebbe sembrare a prima vista alquanto azzardato. In realtà l’acqua è stata uno dei temi centrali nel lavoro di Danilo: non solo come strumento di liberazione dal dominio mafioso, ma anche come ispirazione su cui riflettere della propria esistenza e il proprio essere in quanto creatura nel e del mondo. Dell’acqua Danilo affermava:

“Elemento benefico, rinvigorente, purificante – sapendo valorizzarlo – come l’aria, la terra, il fuoco. Pericoloso se lo sconosciamo. È una parte di noi: è anche noi”.

Danilo Dolci, Nessi fra esperienza etica e politica, Piero Lacaita Editore, 1993, p.10.  

La Diga dello Jato: una testimonianza di partecipazione, potere e democrazia green

La storia della Diga Jato è una delle più incredibili testimonianze di movimento popolare dal basso, nonviolento e democratico e che ha dato il via a uno sviluppo economico per migliaia di famiglie siciliane. La situazione del dopoguerra nella Sicilia occidentale era disastrosa: non soltanto le conseguenze della Seconda Guerra Mondiale, ma la mancanza assoluta di servizi di base e l’essere continuamente sotto il giogo mafioso clientelare (Dolci la chiamava “la segreta violenza parassitaria in alcune valli della Sicilia[1]) non permetteva alcun tipo di sviluppo della popolazione locale, sia dal punto di vista economico che civile e sociale. Danilo Dolci – trasferitosi a Trappeto nel ’52 – fa qualcosa di semplice ma allo stesso tempo rivoluzionario: crea le condizioni per incontrarsi, per avviare un dialogo e un approccio comunicativo che accenda la consapevolezza della comunità. Quest’ultima avvia così un’analisi dei problemi, identifica le soluzioni e le pianifica. E la risposta all’avvio dello sviluppo economico del territorio era sotto gli occhi di tutti: l’acqua. In un episodio ormai famosissimo, durante delle riunioni tra i contadini, la soluzione era stata identificata in un enorme bacile, che servisse tutta la valle dello Jato e che convogliasse le acque del fiume Carboj, così da raccogliere l’acqua, non disperderla e distribuirla fra la popolazione:

“Un vecchio contadino, Zu Natale Russo, un giorno disse: “Qui d’estate per sei mesi non piove. E si produce poco, o niente. Ma d’inverno piove molto. E l’acqua per gran parte va sprecata. Non si potrebbe raccogliere quell’acqua in un bacile, in un grande bacile, per poi utilizzarla nell’estate?”. Aveva reinventata la diga.

Danilo Dolci, Nessi fra esperienza etica e politica, Piero Lacaita Editore, 1993, p.224.  

Grazie alle lotte nonviolente popolari, alle proteste, ai digiuni e alle manifestazioni, i contadini riescono a ottenere i fondi della Cassa del Mezzogiorno e a finanziare la costruzione della diga – una diga che sarà costruita utilizzando pietrame calcareo e detriti misti a limo, non in calcestruzzo: sia la fonte dei finanziamenti che la scelta della tipologia di materiali da costruzione erano finalizzate a evitare possibili infiltrazioni mafiose, rendendo così la Diga dello Jato una delle prime strutture realizzate senza la presenza mafiosa del territorio. Infine, proprio perché la Diga è nata dalla comunità e dalla comunità è stata costruita, è stata gestita attraverso consorzi e cooperative dagli agricoltori: partecipazione e sviluppo vanno sempre di pari passo. Dopo la diga, si è parlato di acqua democratica: un’acqua abbondante, per tutti, non più esclusivo monopolio di pochi. Un’acqua capace di scardinare strutture di dominio soffocanti e di far germogliare lo sviluppo attraverso le vie più impensabili.

“Ho appreso come l’acqua può divenire non soltanto occasione per elevare la produttività e il reddito, ma anche leva di cambiamento strutturale, per un cambiamento della struttura del potere”.

Danilo Dolci, Palpitare di nessi – ricerca di educare creativo a un mondo nonviolento, Mesogea, 2012, p. 25.

Il cambiamento avviato non è stato solo economico, con ricadute positive su tutta la popolazione: a livello ambientale, la creazione della Diga ha portato terreni fertili e un vero e proprio cambiamento del paesaggio, con una nuova consapevolezza del potere della partecipazione popolare e di quello rigenerante dell’acqua. Lo stupore della popolazione di fronte a tale cambiamento è stato ben rappresentato da Dolci in una poesia di Sopra questo frammento di galassia, inclusa in Poema Umano:

[…]
Un vecchio un giorno in strada mi ha fermato
a Partinico,
tirandomi la maglia ripeteva
non capivo al momento – “ci sono le anatre”.

“Ci sono le anatre”, un discorso enorme in un respiro:
ora qua con la diga, il grande lago,
si avvedono pur l’anatre,
tutto sta rinnovandosi –
mai erano restate in questa terra,
ora galleggiano sull’acqua azzurra”

Danilo Dolci, Poema Umano, Mesogea, p. 237

L’acqua quindi si è affermata come volano economico per un’intera comunità, una vera e propria leva di cambiamento sociale, nel pieno della sua potenzialità rigenerante e – come oggi diremmo – completamente green. Da questa prospettiva, si notano in maniera evidente i segni della visione ecologica universale di Dolci, in cui comunità umana e natura convivono e prosperano insieme.

“Pur l’acqua può morire”

La riflessione sul potere e sull’acqua e sul ruolo che questa ha nelle nostre vite è stata sempre presente in Danilo. All’interno di Nessi fra esperienza etica e politica, Dolci lascia parole che rivelano uno sguardo particolarmente attento su questo elemento fondamentale della nostra vita:

“Dall’acqua, continua plasmatrice del pianeta, noi possiamo – abbiamo il potere di – vivere: l’acqua coopera ad avvivarci”

La compenetrazione fra acqua e il nostro organismo e quello fra tutti gli esseri viventi, la sua presenza nella natura e nelle culture di tutto il mondo (sono comuni nei diversi angoli del globo l’acqua benedicente, i bagni sacri nei fiumi, l’aspersione dell’acqua in specifici rituali), porta Dolci a una riflessione sul potere che l’acqua possiede nel plasmare la vita che ci circonda e quanto le azioni egoiste, trasmissive e dominanti dell’uomo portano a un rischio quasi blasfemo: uccidere ciò che porta la vita.

“Un fiume che era il dio dell’eterno
divenire dal cielo al mare al cielo

[…]

È ora piscia corrosiva
Sotto altissimi edifici che alla cima
Nel giorno insistono rossi segnali
Solo di uomini un fiume può morire

Danilo Dolci, Poema Umano, Mesogea, p.59.

Le azioni degli uomini possono addirittura portare all’impensabile, ovvero rendere la fonte di vita per eccellenza strumento di morte: se infatti il nostro corpo è composto da più del 70% d’acqua, “sappiamo cosa può produrre nel futuro sulla nostra specie l’abominevole acqua che ingurgitiamo negli omili”[2]? si domandava Danilo, definendo omili tutte quelle città invase dai rifiuti, inquinate, in cui lo sviluppo non ha seguito sia le esigenze delle persone che il rispetto della natura circostante, creando distorsioni e infettando l’acqua che a sua volta – inquinata – avvelena tutte le sue creature. Un avvertimento quindi su come uno strumento di sviluppo, potere e vita possa tradursi esattamente nel suo opposto se l’umanità si abbandona ad azioni che non considerano la complessità delle reti e dei rapporti in cui le persone sono intimamente connesse alla natura, anche se non consapevoli. Da qui, Danilo dedicherà moltissimi scritti alla protezione e al rispetto dell’ambiente e alla vita degli esseri umani nella e con la natura. Riflessioni fondamentali e al giorno d’oggi attualissime, nel percorso per il diritto delle presenti e future generazioni a vivere in un mondo in cui l’ambiente possa essere un luogo ospitale per tutte e tutti e in cui l’acqua mantenga il suo ruolo sacro di generatrice di vita e sviluppo.


[1] Danilo Dolci, Palpitare di nessi – ricerca di educare creativo a un mondo nonviolento, Mesogea, 2012, p. 169

[2] Danilo Dolci, Nessi fra esperienza etica e politica – Piero Lacaita Editore, 1993, p.10