SOS Qui si sta morendo

Mar 25, 2014

Una voce da Partinico per illustrare i problemi dei terremotati. . . . Due collaboratori di Danilo Dolci, Franco Alasia e Pino Lombardo, si sono chiusi nei locali del “Centro studi ed iniziative”; hanno una radio di notevole potenza con la quale trasmettono notizie e documentari fonici sulle condizioni dei terremotati sui 98,5 mhz della modulazione di frequenza e sulla lunghezza d’onda di m 20.10 delle onde corte.

L’emittente può essere udita su tutto il territorio italiano e da molte località all’estero; a quanto hanno annunciato, la possono captare anche negli Stati Uniti. È questa la nuova forma di protesta escogitata per presentare all’opinione pubblica le condizioni delle genti delle valli del Belice, del Carboi e dello Jato dopo il tragico terremoto del 15 gennaio 1968 e dopo che sono passati inutilmente due anni senza l’avvio della promessa ricostruzione

(Giornale di Sicilia, 26 marzo, 1970).

Inizia così la prima esperienza di radio libera in Italia, con una trasmissione clandestina per denunciare le condizioni di degrado in cui versavano le zone della Valle del Belice, dello Jato e del Carboi a due anni dal terremoto del 68’, per protestare contro il disimpegno dello Stato e gli sprechi di denaro pubblico nella ricostruzione.

Radio Libera di Partinico è stato un chiaro esempio di mobilitazione e di presa di coscienza della società civile nonché di precisa costituzione di un bene pubblico. L’impegno dolciano pertanto deve essere inteso in primo luogo come fondamentale processo di costruzione di quella società civile – più volte intesa nei vari contributi – quale la pluralità di opinioni, concorrenza di idee che interagiscono con lo stato. La radio per Dolci significava innanzitutto dare un’opinione diversa, dire qualcosa che gli altri non dicono; questo è fondamentale nella costruzione della società civile.

Nella fattispecie, con Radio Libera si è cercato di creare a livello nazionale e locale (la Sicilia occidentale) una mobilitazione di tipo democratico, cercando di sensibilizzare dal basso la gente su un problema specifico.

Possiamo oggi affermare che l’esperienza di Danilo Dolci sia stata la prima radio libera in Italia, inaugurando un fenomeno sociale e politico che ha rinnovato in parte la radio nel nostro Paese e all’estero. Negli anni 70’ infatti sono nate molte e diverse radio indipendenti che, significativamente, verranno subito definite “libere”, in contrapposizione alla radiofonia della Rai, percepita come troppo legata al potere politico e troppo ingessata nello stile e nella programmazione (Menduni, 1994). Le radio libere sono la ricerca di modalità diverse per fare “un’altra” informazione, con il contributo delle nuove tecnologie. Si tratta perciò di scegliere tra l’informazione istituzionale e questa informazione alternativa o “controinformazione”, come viene definita.

Come sostiene Sorice <> (ma quest’ultimo punto non avvenne per quanto riguarda la Radio Libera di Partinico).

Radio Libera di Partinico infatti si è caratterizzata per la sua natura prettamente rivoluzionaria e di protesta, e in tal senso è stata progettata e attuata. Infatti come si può evincere dagli allegati al presente articolo, alcuni dei quali inediti, tutto è stato organizzato con minuzia di particolari, attraverso un attento e lungo lavoro di preparazione. Inizialmente l’idea era quella di trasmettere da un’imbarcazione situata in acque extra territoriali. Per eludere le leggi italiane sulle telecomunicazioni, erano state preventivate tutte le spese per l’imbarcazione e i necessari strumenti per la navigazione, ma l’idea fu presto abbandonata per le imprevedibili condizioni di navigazione e per il più prevedibile arresto dei responsabili non appena entrati in acque territoriali, nonché per la volontà degli stessi organizzatori di non interferire con le comunicazioni radiofoniche di servizi di pubblica utilità (come ad esempio la torre di controllo di Punta Raisi).

Abbandonata l’idea della trasmissione dal mare, si passò alla programmazione dell’iniziativa da un luogo sulla terra ferma, e nello specifico da Partinico, dalla sede del Centro Studi ed Iniziative. L’organizzazione dell’iniziativa, accuratamente pianificata, fu supportata dalla consulenza di esperti, amici di Dolci, nel campo delle telecomunicazioni e della giurisdizione in materia e fu implementata nel massimo riserbo per evitare un preventivo intervento delle forze dell’ordine: le lunghe antenne necessarie alla trasmissione furono issate sull’edificio del Centro Studi pochi minuti prima della trasmissione e soltanto dopo il tramonto.

Al fine di coinvolgere quante più persone possibili, e per tenere all’oscuro coloro i quali avrebbero potuto interferire con il buon compimento dell’iniziativa, compromettendola, si organizzò peraltro uno sciopero in corteo per le vie di Partinico, come sostegno per le popolazioni delle zone terremotate, con chiusura presso Largo Scalia, sede del Centro Studi. Appena arrivati in loco Dolci rivelò la vera finalità dell’iniziativa e fece ascoltare al pubblico presente, attraverso una piccola radio sintonizzata sulle frequenze di Radio Libera, le trasmissioni che avvenivano dall’interno del Centro Studi.

Pino Lombardo e Franco Alasia, collaboratori di Danilo Dolci, si erano infatti barricati dentro i locali del Centro Studi con le trasmittenti e con un gruppo elettrogeno per consentirne il funzionamento nell’eventualità che le Forze dell’ordine avessero isolato l’edificio dall’energia elettrica. Per questo motivo le trasmissioni erano state precedentemente registrate da Antonino Uccello e da Danilo Dolci, e consistevano in una pluralità di voci che denunciavano le condizioni della Valle del Belice, dello Jato e del Carboi.

Le registrazioni furono altresì arricchite da alcuni commenti musicali, attentamente scelti al fine di esprimere la ricchezza culturale e artistica del territorio, come ad esempio alcune composizioni di Alessandro Scarlatti, o la canzone “La Sicilia camina” di Ignazio Buttitta. Le trasmissioni, effettuate attraverso due radio (una a modulazione di frequenza MF-UA m 98.5, e una a onde corte sulla lunghezza di m 20 . 10) per consentire un maggiore campo d’ascolto, avevano inizio ed erano scanditi da un messaggio di SOS prodotto attraverso un flauto dolce. Il programma, per una durata totale di quattro ore, era stato tradotto anche in inglese affinché potesse essere ascoltato pure all’estero, e fu più volte ritrasmesso, consecutivamente, fino all’arrivo delle Forze dell’Ordine.

Ma la cosa che più di tutte dava grande risalto alle manifestazioni organizzate da Danilo Dolci era la loro singolarità, a volte anche elementare e semplice. Tutti gli amici di Dolci nell’ambito della cultura mondiale venivano sempre informati e coinvolti, dando così ulteriore spessore alle iniziative (vedi in allegato messaggio di Italo Calvino e Johan Galtung). Venivano scelti i momenti più adatti politicamente; le iniziative erano sempre supportate da numerosi partecipanti; si coinvolgevano i personaggi più rilevanti; si informavano sempre le forze dell’ordine. Tutto era programmato preventivamente per dare massimo risalto all’evento presso l’opinione pubblica. L’esperienza di Radio Libera, e insieme tutte le altre singolari manifestazioni di protesta organizzate da Danilo Dolci, sono state ogni volta anche un appello ai cittadini, a tutta la popolazione, un appello alla sensibilizzazione generale di fronte a problemi comuni. In questo senso possiamo pure dire che Danilo Dolci ha operato per la costruzione della società civile, cercando di sensibilizzare la gente di fronte a problemi di pubblico interesse, cercando di suscitare dal basso iniziative volte a richiedere ed avere garantiti determinati “beni pubblici”. La diga, il diritto al lavoro per di disoccupati di Partinico, la lotta contro la mafia, il Centro Educativo di Mirto, la ricostruzione delle zone terremotate, questi ed altri ancora sono tutti beni pubblici.

Ma questa radio, a differenza di molte altre radio libere che si svilupparono successivamente, non è durata molto. <> (Giornale di Sicilia, 27 marzo, 1970).

Si conclude così l’esperienza di Radio Libera, affermandosi come una singolare e incisiva azione di protesta per la ricostruzione delle zone terremotate delle Valle del Belice, del Carboi e dello Jato e aprendo un acceso dibattito sull’utilizzo della radio al servizio della gente.

Di seguito possiamo leggere oltre all’introduzione che apriva le trasmissioni e alcuni messaggi di solidarietà da parte di illustri uomini della cultura del tempo, anche dei documenti che sono stati alla base della programmazione delle trasmissioni. I testi relativi a “Considerazioni di fondo” e “Alcune indicazioni preliminari” sono stati ritrovati negli archivi del Centro Studi ed Iniziative e mai pubblicati precedentemente. In essi è possibile individuare le motivazioni che hanno spinto Danilo Dolci e i suoi collaboratori e le modalità organizzative messe in atto per la realizzazione dell’iniziativa.

Messaggio introduttivo della trasmissione di Radio Libera, letto da Danilo Dolci.

S O S

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Qui parlano i poveri cristi della Sicilia occidentale, attraverso la radio della nuova resistenza.

S O S

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Siciliani, italiani, uomini di tutto il mondo, ascolte: si sta compiendo un delitto, di enorme gravità, assurdo: si lascia spegnere un’intera popolazione.

La popolazione delle Valli del Belice, dello Jato e del Carboi, la popolazione della Sicilia occidentale non vuole morire.

Siciliani italiani, uomini di tutto il mondo, avvisate immediatamente i vostri amici, i vostri vicini: ascoltate la voce del povero cristo che non vuole morire, ascoltate la voce della gente che soffre assurdamente.

Siciliani italiani, uomini di tutto il mondo, non possiamo lasciar compiere questo delitto: le baracche non reggono, non si può vivere nelle baracche, non si vive di sole baracche. Lo Stato italiano ha sprecato miliardi in ricoveri affastellati fuori tempo, confusamente: ma a quest’ora tutta la zona poteva essere già ricostruita, con case vere, strade, scuole, ospedali.

Le mani capaci ci sono, ci sono gli uomini con la volontà di lavorare, ci sono le menti aperte a trasformare i lager della zona terremotata in una nuova città, viva nella campagna con i servizi necessari, per garantire una nuova vita.

Gli uomini di tutto il mondo protestino con noi: L’Italia, il settimo paese industriale del mondo, non è capace di garantire un tetto solido e una possibilità di vita ad una parte del proprio popolo.

Uomini di governo: lasciate spegnere bambini, donne, vecchi, una popolazione intera. Non sentite la vergogna a non garantire subito case, lavoro, scuole, nuove strutture sociali ed economiche a una popolazione che soffre assurdamente? Se si vuole, in pochi mesi una nuova città può esistere, civile, viva.

Chi lavora negli uffici: di burocrazia si può morire. I poveri cristi vanno a lavorare ogni giorno alle quattro del mattino. Occorrono dighe, rimboschimenti, case, scuole, industrie, strade, occorrono subito.

Questa è la radio della nuova resistenza: abbiamo il diritto di parlare e di farci sentire, abbiamo il dovere di farci sentire, dobbiamo essere ascoltati.

La voce di chi è più sofferente, la voce di chi è in pericolo, di chi sta per naufragare, deve essere intesa e raccolta attivamente, subito, da tutti.

S O S

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Qui si sta morendo.

La nostra terra pur avendo grandi possibilità sta morendo abbandonata. La gente è costretta a fuggire, lasciando incolta la propria terra, è costretta ad essere sfruttata altrove.

S O S

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Qui si sta morendo.

Si sta morendo perché si marcisce di chiacchiere a di ingiustizia. Galleggiano i parassiti, gli imbroglioni, gli intriganti, i parolai: intanto la povera gente si sfa.

S O S

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Qui si sta morendo.

E’ la cultura di un popolo che sta morendo: una cultura che può dare un suo rilevante contributo al mondo. Non vogliamo che questa cultura muoia: non vogliamo la cultura dei parassiti, più o meno meccanizzati. Vogliamo che la cultura locale si sviluppi, si apra, si costruisca giorno per giorno sulla base della propria esperienza.

S O S

S O S

Qui si sta morendo.

Ciascuno che ascolta questa voce, avverta i propri amici, avverta tutti. La popolazione della Sicilia occidentale non vuole morire.

S O S

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Facciamo appello all’ONU e a tutti gli organismi internazionali che hanno a cure la vita dell’uomo e lo sviluppo pacifico del mondo: premano sul governo italiano affinché sia costretto ad agire subito e bene.

S O S

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Il mondo non può svilupparsi in vera pace finché una parte degli uomini è costretta alla disperazione.

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Qui parlano i poveri cristi della Sicilia occidentale attraverso la radio della nuova resistenza.

S O S

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Costituzione italiana, articolo 21:

“Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.

Cosa significa “tutti”? Vi deve essere esclusa la gente che lavora più faticosamente? Vi deve essere esclusa la gente che più soffre?

Il diritto-dovere alla verità, da esigenza morale, diviene via via nella storia, riguardandola nelle sue linee essenziali pur tra contraddizioni, diritto-dovere anche in termini giuridici. Il diritto alla comunicazione, alla libertà di espressione, all’informazione, non vi è dubbio sia determinante allo sviluppo di una società democratica: deve essere garantito attraverso i moderni strumenti audiovisivi che il progresso scientifico e tecnologico ci mette a disposizione. Non possiamo non valerci, non episodicamente ma strutturalmente, di quanto ci viene garantito – sta a noi conquistarlo di fatto – dalla Carta dell’uomo alla Costituzione, alla parte più avanzata del Diritto internazionale e non.

Nelle attuali condizioni storiche italiane, se ha un senso preciso l’impegno affinché la radio – televisione sia affidata allo Stato , occorre:

ottenere precise garanzie affinché si possano esprimere attraverso questo strumento, monopolio dello Stato, le diverse posizioni culturali e politiche democratiche;

e soprattutto portare avanti la possibilità concreta, attraverso mezzi idonei, della comunicazione dell’attuale “basso”: le voci dei lavoratori, di chi più soffre ed è in pericolo.

Una precisa conquista in questo senso non ha solo significato locale, può riuscire a produrre reazioni a catena.

S O S

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Amici, organizzate gruppi di ascolto e diffusione nelle fabbriche, nelle università, nelle scuole, nelle piazze dei Comuni, nei Circoli culturali, nelle case del popolo, nelle cooperative, dovunque sia utile.

Chi vuole documentarsi esattamente, ci richieda documentazione.

Discutete l’iniziativa.

Documentate i giornali di ciascuna delle vostre iniziative.

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Qui la voce della Sicilia che non vuole morire.

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Questa lettera è stata trasmessa minuti fa al Capo dello Stato italiano, al Capo del Governo e al Ministero degli Interni.

Partinico, 25/03/1970

 MESSAGGI DI SOLIDARIETA’ ALLA POPOLAZIONE DELLA ZONA TERREMOTATA E ALLA RADIO DELLA NUOVA RESISTENZA

La più importante sfida del nostro tempo è, per tutti noi, insieme, inventare una vera, diretta democratica nella quale tutti partecipano. Molti dicono che questo si può raggiungere solo in piccole unità, al massimo per villaggi, o per industrie con qualche migliaia di membri. Altri dicono che la società di massa, moderna e tecnologica, impedisce la democrazia diretta a causa del grande numero, perché la Radio, la TV, i giornali sono sempre usati dai pochi a dominare i molti. Ed è vero che il grande numero blocca la democrazia diretta e che la tecnologia della comunicazione di massa è caduta nelle mani di pochi. Nostro compito è di rovesciare questo e mettere i mezzi di comunicazione di massa a disposizione della popolazione e usare questa tecnologia, svilupparla ancora per superare i problemi della democrazia diretta nella società moderna. La tecnologia ha fatto del mondo un villaggio elettronico, dice MacLuhan: ma questo villaggio deve essere in tutto un’espressione genuina, non manipolata, per creare una società più umana.

Johan Galtung (Norvegia)

Ogni volta che una catastrofe colpisce il Sud ci si dice: ancora altre popolazioni che dovranno vivere nelle baracche, quanti anni ci resteranno? E’ possibile che un paese come l’Italia che vanta i suoi “miracoli economici” lasci senza tetto popolazioni intere? Le catastrofi naturali sono fatalità? Non sempre. In molti casi sono prevedibili ed è una grave colpa non fare tutto il possibile per prevenirle. Ma anche quando l’uomo non può nulla contro di esse, e loro conseguenze sono ben diverse in una situazione statica e gretta, con un’economia che non pensa che al proprio ristretto guadagno immediato, e in una situazione in cui tutte le risorse – economiche, umane e naturali – vengono impegnate per il bene comune.

Per questo a vegliare a Partinico stanotte è, la coscienza dell’Italia, una coscienza che è per così dire poca parte rappresentata dalla classe dirigente, e che è amaro privilegio dei poveri.

Italo Calvino

CONSIDERAZIONI DI FONDO

Da diversi anni abbiamo sentito la necessità, in modo sempre più preciso, di avere una nostra radio o, meglio, di mettere una radio libera a disposizione della popolazione. Ora abbiamo deciso di avviare l’iniziativa.

Per avviare tra noi il colloquio vi riassumerò le considerazioni di fondo che ci hanno indotto a maturare la decisione, dando poi alcune indicazioni della direzione in cui intendiamo muoverci.

Una prima ipotesi all’inizio del nostro lavoro era questa: agendo in modo concreto e massiccio da alcuni punti strategici di zone omogenee attraverso l’azione di centri piloti, dal rompere la crosta in un punto nevralgico, sarebbe derivata una notevole facilità nel determinare screpolature in tutta la superficie interessata.

L’ipotesi si è dimostrata valida per quanto riguarda l’aspetto economico, salve certe premesse (ad esempio determinata la costruzione della diga sullo Iato da Partitico, beneficerà dell’acqua tutta la zona adatta da Castellammare a Montelepre). Per quanto riguarda l’aspetto strutturale invece, abbiamo rilevato che un lavoro di estensione, sia pure facilitato dall’azione di rottura di un centro pilota, richiede la produzione di nuove strutture democratiche e la denuncia ed il superamento di quelle clientelari-mafiose attraverso una presenza costante e penetrante fino a diventare capillare (continuando l’esempio: se ad Alcamo o altrove non si interviene attivamente allo sviluppo del consorzio democratico di irrigazione, non si estende automaticamente il consorzio democratico di Partitico).

La maggioranza della popolazione, in zone di questo tipo, è gravemente amara, malcontenta: ma non riesce a esprimere in modo organizzato il proprio malcontento ed a determinare direzioni alternative di sviluppo.

Non riesce soprattutto perché:

Non sa l’informazione sui fatti essenziali, è assolutamente insufficiente, frammentaria e, per i fatti prospettici, proveniente soprattutto secondo le interpretazioni ed il vaglio di chi non vuole il cambiamento, e non secondo gli interessi della popolazione tutta (la televisione, la radio, i più diffusi giornali d’informazione, la scuola, sappiamo a chi sono in mano);

Non ha sufficiente occasione di coagularsi: la difficoltà alla vita associativa è accresciuta dalla sperimentata diffidenza diffusa dal sistema clientelare dominante (talvolta con la componente mafiosa).

Occorre uno strumento di comunicazione che:

arrivi a ciascuno;

facendo esprimere alla popolazione direttamente (esattamente il contrario di quanto oggi avviene) la sua più autentica cultura ed i suoi bisogni;

valorizzando ogni precisa occasione alla base per determinare nuovo sviluppo;

uno strumento che sia occasione non solo di conoscenza ma, sia pure nel modo più aperto, di nuova organizzazione;

sia martellante oppressione sugli organi male o non funzionanti degli Enti pubblici, dello Stato, delle vecchie strutture in genere;

scelga e si esprima dunque, in modo rivoluzionario;

Sul piano più generale di principio. Il diritto-dovere alla verità, da esigenza morale, diviene via via nella storia, sia pure tra contraddizioni e riguardandola nelle sue linee essenziali, diritto-dovere anche in termini giuridici: il diritto all’informazione e alla libertà di espressione per quanti ostacoli da ogni parte vengano frapposti (e non a caso, naturalmente) non vi è dubbio che sia determinante allo sviluppo di una società democratica.

Non possiamo non valerci di quanto ci viene garantito (e sta a noi conquistarlo di fatto) dalla Carta dell’uomo alla Costituzione e alla parte più avanzata del Diritto, internazionale e non.

Non c’è dubbio che sia determinante allo sviluppo di una nuova società democratica l’infrangere il monopolio dell’informazione e dell’espressione, in mano alle vecchie strutture di potere.

Una precisa conquista in questo senso non ha solo un significato locale e riesce a produrre reazioni a catena, non solo in quanto riesce a produrre qualità attraverso il programma di lavoro: una propulsiva reazione a catena può venire dal diffondersi della valorizzazione stessa dello strumento.

Una considerazione della pratica più spicciola.

Dobbiamo domandarci e risponderci con sicurezza, se esiste alcun mezzo (fermo il fato che i rapporti del lavoro personale e di gruppo rimangono insostituibili) che ci permetta di raggiungere ciascuno con la massima economia di:

tempo (leggi: velocità di comunicazione);

persone;

denaro.

E’evidente: non c’è alcun mezzo, tra quelli per ora a noi disponibili, che risponda a questi requisiti meglio della radio. Altri che potrebbero essere più efficaci, come la televisione, non sono per ora alla nostra portata pratica.

Un’altra considerazione pratica di natura culturale.

Operiamo in una popolazione che non ha come strumento abituale di comunicazione giornali e libri: la radio rimane una scelta in questo senso obbligata.

L’esperienza ci dice come e quanto qui la popolazione ascolti la radio, soprattutto le notizie locali, pur sapendo da che parte vengano e che non ce ne si può fidare: tanto più e meglio ascolterebbe la propria voce, la voce che la esprime e la libera. Chi di noi ha avuto esperienza diretta del significato delle radio di liberazione sa cosa esse rappresentano.

Una sostanziale obbiezione di fondo potrebbe venire dal fatto che la radio è uno strumento di trasmissione a freccia unica, e non ha in sé la possibilità del colloquio:

FONTE ASCOLTATORE

Pur considerando questa obiezione di gran peso, pensiamo che la difficoltà possa essere superata sul piano organizzativo-culturale. Ad esempio:

trasmettendo espressioni autentiche della cultura locale;

facendo esprimere la popolazione stessa dal basso sui suoi problemi concreti: persone, tavole rotonde, gruppi come consorzi, cooperative, sindacati e così via, al contrario di quanto in genere avviene;

facendo esprimere quei tecnici che possono coordinare e verificare i dati espressi dalla popolazione e dalle sue necessità (il tecnico agrario, l’educatore, l’urbanista, il medico e così via);

costituendo posti di ascolto in cui si discutano le trasmissioni stesse: trasmettendo poi, con periodicità fissa ed intensa, la discussione critica;

promuovendo a monte l’incontro tra cultura locale e non locale, a livello della più alta responsabilità e competenza;

facendo esprimere con particolare cura quei settori della popolazione che solitamente sono tagliati fuori e subiscono: donne, ragazzi, contadini, pescatori;

stimolando con insistente intensità gli uffici e gli organi di potere responsabili di indirizzi, finanziamenti, progettazioni, costrizioni di opere, ecc.

Per un laboratorio di sviluppo sociale ed economico come il Centro studi ed iniziative (non suoni minimizzante e troppo freddo il termine laboratorio: vuole indicare la necessità della sperimentazione verificata) non procedere all’interno verso l’esterno in modo da poter raggiungere contemporaneamente qualsiasi persona lo desideri nelle zone in cui operiamo, sarebbe come ridursi a scrivere giornali e libri ciascuno a mano, non prendere atto degli strumenti che la tecnica ci mette a disposizione, per dare partita vinta ai potenti che della tecnica sanno valersi.

ALCUNE INDICAZIONI PRELIMINARI

Sarà attenzione fondamentale il preparare prima la scelta di materiale di carattere culturale non legato esplicitamente all’attualità (musiche, racconti, incontri, poesia e così via) in modo da avere riserve di qualità, lasciando il minimo in questo campo all’improvvisazione.

Pur potendo valerci del diritto di informazione e di espressione, in un primo tempo preferiamo, ad evitare al massimo inciampi, trasmettere da acque extraterritoriali, su una imbarcazione di bandiera non italiana.

Con le trasmissioni si vuole raggiungere, oltre le valli Iato, Belice e carboni, anche Palermo, Trapani, Marsala, Mazzara, Castelvetrano e Sciacca: la Sicilia occidentale.

Il via alle trasmissioni: la Pasqua 1970.

Si prevedono programmi di un’ora la mattina ed un’ora la sera: parte culturali e parte di attualità (la parte culturale potrebbe anche essere ripetuta).

La lunghezza d’onda viene comunicata all’inizio della prima trasmissione: creando immediatamente posti di ascolto e dando la massima pubblicità all’iniziativa (e non solo localmente).

La struttura organizzativo-produttiva dei programmi deve essere semplice: il Centro Studi ed Iniziative, con i suoi organi giuridicamente riconosciuti, ne assume la responsabilità; all’interno del Centro vi è un responsabile dell’iniziativa specifica; a questo fanno capo i contributi dei diversi servizi del Centro (ad esempio: il punto sulle dighe, indicazioni e sollecitazioni relative alla città-territorio per la zona terremotata, seminari ed incontri pubblici al Borgo, congressi, contributi vari ecc.); viene organizzata con il Centro di Tappeto la rete dei redattori – corrispondenti – promotori locali.

Il carattere complessivo delle trasmissioni: educativo sulla base delle esperienze locali (secondo un’educazione concepita come autoeducazione, autogestione culturale, processo democratico).

Sulla complessa dialettica tra azione maieutica ed assunzione di responsabilità culturali e pratiche, organizziamo un seminario internazionale per il 1970: in modo da ottenere qualificate indicazioni, collaborazioni e supporto.

Possiamo distinguere le difficoltà da superare, contrapponendo le proposte di soluzione, in:

tecnico-organizzative

tecnico-finanziarie

organizzativo-culturali

politiche

giuridiche

affidando l’avvio della discussione rispettivamente a Franco Alasia, Rosalba Martinetti, Michele Straniero, Ernesto Treccani ed agli amici giuristi.