Edizione: Lacaita, Manduria, 1993
Dalla presentazione di Raffaello Saffioti:
Serve domandarci: come è nato questo testo? Quali sono le sue caratteristiche? Qual è il suo intento? Come disporsi per la sua lettura?
É un testo maieutico, interrogativo, che suscita risposte e provoca domande.
É una sorta di scrittura collettiva.
É un testo che fuoriesce dagli schemi della scrittura tradizionale e richiede al lettore concentrazione e impegno. Non è nato per «trasmettere» verità, definizioni, teorie preconfezionate. Non è definitivo. Nasce dalla ricerca e dal dialogo. Intende «comunicare».
Dolci ha riscoperto l’antica maieutica socratica, ma l’ha rinnovata. Istruttivo, a tal proposito, leggere gli studi di Antonio Mangano. É sempre rischioso avventurarsi nel confronto tra «autori» di epoche diverse, ma si può osservare la grande diversità tra la personalità e l’opera socratica e quella dolciana, ove il laboratorio maieutico diviene chiave di lettura: «Educare un mondo congruo a vivere, in cui l’umano uno senta necessario scoprire e attuare un’unità più complessa, forse significa… formare laboratori maieutici in cui, valorizzando anche tempi e spazi diversi, ognuno possa risultare levatrice ad ognuno…, in cui la struttura ambientale condizioni in modo organicamente liberatorio dalle diverse forme di chiusura, oppressione, ignoranza, ansia, paura, attraverso la continua ricerca».
In ogni incontro, mai improvvisato ma accuratamente preparato, Danilo cerca di assicurare le condizioni che favoriscano l’espressione individuale e di gruppo, pone domande, organizza. Pone domande perché anche lui cerca di sapere, è coinvolto in una ricerca continua.
In ogni incontro si crea un «clima» particolare, di intensa partecipazione e la carica emotiva si fonde con lo sforzo intellettuale. E avvengono miracoli. Non è facile descrivere quanto avviene in questi incontri, ogni tentativo di descrizione risulta inadeguato. Avviene come una «rivelazione» di ciascuno a se stesso e agli altri.
A ciascuno Dolci chiede di meditare e di esprimersi.
Solitamente propone tempi di silenzio perché ognuno possa meditare.
Negli incontri non ci sono lezioni, non ci sono prediche, non ci sono «passerelle». Il parlare diviene un colloquiare, autentico conversare.
Il «laboratorio maieutico» richiede ad ognuno di mettersi in discussione, di essere disposto a modificarsi attraverso il confronto, e richiede pure grande capacità di ascolto. Funziona, e chi ne ha fatto esperienza lo sa, come laboratorio polivalente: di ricerca comune e di conoscenza, sperimentazione, coeducazione creativa. Funziona pure come laboratorio di analisi linguistica. La parola acquista una grande importanza e si rileva come vero strumento di comunicazione. Il vocabolario codificato dalla cultura del dominio viene messo alla prova.
Così, la parola si fa carne dimostrandosi pure strumento di liberazione e umanizzazione.
La proposta dolciana del «laboratorio maieutico» è affascinante, soprattutto per i giovani e i bambini, per le persone umili e semplici in genere, ma anche scomodo perché richiede il cambiamento dei rapporti umani e del modo di vivere.