Non si può parlare solo di sicurezza

Ott 20, 2025Notizie

In queste ore di dolore, ci stringiamo alla famiglia dell’ennesimo giovane ucciso a Palermo sabato 11 ottobre e alla comunità tutta.
È una ferita che attraversa ciascuno e ciascuna di noi e che ci costringe, ancora una volta, a chiederci che cosa stia accadendo nei nostri quartieri, nelle nostre relazioni, nel nostro modo di vivere insieme.

L’ennesimo omicidio avvenuto lo scorso sabato ha scosso profondamente la città di Palermo e la comunità. Un giovane ragazzo è stato ucciso, e ancora una volta la parola sicurezza è tornata con forza nel dibattito pubblico

È la risposta più immediata, quella che lo Stato sembra conoscere meglio: più polizia, più controlli, più repressione.
Ma la verità, più scomoda e meno raccontata, è che lo Stato da tempo ha abbandonato interi quartieri e comunità. Non ci sono opportunità, non ci sono spazi, non ci sono vie di fuga. Per molti e molte, l’unica alternativa alla criminalità e alla violenza è andarsene. E tanti ragazzi e ragazze lo fanno, da anni, in silenzio.

Questo omicidio non è il primo e purtroppo non sarà l’ultimo. Ogni volta ci indigniamo, discutiamo per qualche giorno, poi torniamo a vivere come se nulla fosse. Ma la radice del problema resta lì,intatta: l’assenza di percorsi educativi, di relazioni, di cura reciproca. Non è una singola morte a fare emergenza, ma le tante morti che si ripetono nel silenzio e nell’indifferenza. È il sottile e capillare senso di vuoto che attraversa le nostre strade, che si muove tra di noi, e che fa sì che una vita possa valere solo il tempo di uno scatto. Essere al momento e nel luogo sbagliato, non importa se illuminato o buio, può bastare: una vita può scomparire, e il perché smette di avere peso.

Come organizzazioni  – il Centro per lo Sviluppo Creativo Danilo Dolci – ETS, insieme a CESIE ETS e LAND Impresa Socialesentiamo la responsabilità di portare una visione costruttiva, che non cerchi solo colpe, ma indichi strade.

In un momento in cui la risposta alla violenza sembra essere altra violenza, noi chiediamo un cambiamento di paradigma: vogliamo eserciti di educatori ed educatrici nei quartieri, non pattuglie di polizia; vogliamo fondi strutturali, continuità di intervento, alleanze tra pubblico e privato per contrastare la povertà educativa, culturale e sociale che soffoca le nostre comunità.

L’educazione è la vera infrastruttura della democrazia. È la forza rivoluzionaria che costruisce legami, genera pensiero critico, promuove autonomia e responsabilità. Non può essere delegata solo alla scuola, ma deve attraversare la vita quotidiana: le famiglie, le strade, i centri civici, le associazioni, gli spazi informali.

Educare significa prevenire la violenza, ma anche restituire senso e dignità al vivere insieme.

La scintilla di questo omicidio sia nata da una “taliata di troppo” o da un approccio indesiderato verso una ragazza. Un fatto che ci obbliga a guardare in faccia un’altra radice profonda della violenza: quella patriarcale e maschilista, che si nutre di culture del possesso e dell’onore virile. Ecco perché non possiamo accettare, come accaduto recentemente, provvedimenti che limitano l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole. Non agire su queste radici culturali significa consolidare modelli tossici, che poi si trasformano in gesti violenti, in morti assurde, in comunità ferite.

Nel tessuto cittadino esistono tante realtà educative che ogni giorno, spesso nel silenzio e con risorse limitate, accompagnano, ascoltano e costruiscono comunità. A tutte loro va il nostro riconoscimento e la nostra alleanza: sono la dimostrazione concreta che un altro modo di vivere insieme è possibile. 

Servono politiche pubbliche che riconoscano l’educazione come bene comune, che la finanzino in modo continuativo, che la mettano al centro di una visione collettiva e di lungo periodo. 

Solo così la parola “sicurezza” potrà riacquistare il suo vero significato. 

Sicurezza non significa solo controllo. Sicurezza significa vivere in una comunità che ti riconosce, che ti accoglie, che ti offre alternative. Sicurezza significa educazione e possibilità.

«Quando si mira a una società pacifica, penso, si mira ad una società nonviolenta, cioè a una società che strutturalmente tenda a eliminare quelle violenze dirette o indirette (come la guerra, il razzismo, lo sfruttamento) che impediscono lo sviluppo; e nel contempo a una società in cui, chi risulti in qualsiasi modo impedito, tenda a impegnarsi – nei conflitti che stima necessari – in modo nonviolento» 

Danilo Dolci, “Non sentite l’odore del fumo?”, Laterza, Bari, 1971, p. 88.