Il 14 ottobre 1952 Danilo Dolci comincia quello che è passato alla storia come il suo primo digiuno, per portare all’attenzione dell’opinione pubblica le terribili condizioni in cui versava la comunità di Trappeto. I fatti: un bambino appena nato, Benedetto Barretta, muore di fame. Questo tragico evento porta così Danilo a mettere in pratica la sua prima azione nonviolenta per avviare un processo di cambiamento nella comunità. Alla clamorosa azione seguirà l’attenzione delle autorità e dell’intero Paese: di lì a poco infatti si avvieranno i primi interventi per dare un minimo di servizi alla comunità di Trappeto. In occasione di questo anniversario, leggiamo quanto Dolci stesso raccontò a Giacinto Spagnoletti in una famosa intervista:
“Un giorno d’ottobre mi chiamano in paese: un bambino sta male. Arrivo, la stanza è umida, scura, senza finestre, quasi vuota. La giovane madre è gialla, non pallida, ma proprio gialla; il marito è in galera per un furto di pochi limoni. Da giorni la madre (Giustina Barretta) non mangiava e il bambino non trovando latte nel suo seno, stava morendo. Corro in farmacia a Balestrate e torno con il latte. Tentiamo di farlo succhiare al bambino, ormai esanime: non riesce più a inghiottire, nemmeno respira più; è morto.
Questo. E gli altri? La mortalità infantile era elevatissima e casi simili potevano ancora verificarsi. In una riunione tenuta tra i più intimi, prendemmo questa decisione: a turno, avremmo digiunato fino a quando il paese non fosse stato tolto da quel baratro estremo. Avrei cominciato io e, se fossi morto, avrebbero continuato gli altri.
Scrissi a Franco Alasia che immediatamente lasciò il suo lavoro di meccanico e arrivò. Una breve lettera fu inviata alle autorità regionali e nazionali e alla stampa. Gli elementi essenziali di quei giorni sono stati vissuti dal di dentro da persone come Toni, Paolino e il figlio dell’orbo, seriamente disposte, se fossi morto, ad andare avanti. Una decisione veramente terribile, ma concepita con semplicità e chiarezza. Tutto questo non si era prodotto, come hanno pensato molti, in seguito letture o riflessioni mistiche. Penso, invece, che nessuno dotato di un minimo di sensibilità, riuscirebbe a mangiare se vedesse dei bambini morire di fame. Non si tratta di eroismo, ma di un certo istinto”
(Conversazioni con Danilo Dolci, a cura di Giacinto Spagnoletti, Edizioni Mesogea, 2013, pp. 65 – 66).
Questo evento sarà anche ciò che metterà in contatto Danilo Dolci con Aldo Capitini – fondatore del Movimento Nonviolento in Italia. Da quel momento, nasce un’amicizia fra Dolci e Capitini che sarà fondamentale nella vita di Danilo. Dolci ne ricorda il primo scambio in una poesia, in cui ripercorre la tragedia del piccolo Benedetto:
Ne sento il vuoto.
Era morto un bimbo, di fame:
recline sulle braccia della madre gialla,
il latte trovato in farmacia scivolava sulle labbruzze
inerti – era tardi.
Terribilmente semplici avevamo deciso
di metterci al posto del piccolo, uno dopo l’altro,
fin che non si apriva lo spiraglio del lavoro
per tutti: nella stanza terrana del vallone
tra la gente stupita (curiosavano i piccoli
il prete era sparito,
il medico e i notabili tentavano velare con la parola intossicazione
per continuare a parassitare tranquilli il paese,
giovani meditavano,
mi piangevano i vecchi – perché, tu? –,
sentivo, sotto, un pozzo senza fondo)
dopo giorni la postina è venuta con una lettera, di uno sconosciuto,
firmata Aldo Capitini.
(Danilo Dolci, Poema Umano, Edizioni Mesogea, 2016, p. 197)
Dagli eventi del 1952, il digiuno sarà una delle azioni nonviolente principali che Danilo metterà in pratica: non solo come vera e propria disobbedienza civile per denunciare le terribili condizioni di vita della popolazione locale (ricordiamo nel 1956 il “Digiuno dei mille”, sulla spiaggia di S. Cataldo, in cui migliaia di pescatori si radunarono digiunando come protesta alla pesca di frodo. Questo causò la reazione delle forze dell’ordine, che repressero la manifestazione con la motivazione – infondata – che secondo le autorità era vietato digiunare pubblicamente); sia come mezzo di lotta nonviolenta per avviare quel processo che porterà alla costruzione della Diga sul fiume Jato, futuro volano economico dell’area pronto a spezzare i rapporti di dominio della mafia del territorio.