Il concetto di giustizia sociale è inevitabilmente legato alla democrazia, alla partecipazione, alla pace e a delle condizioni ottimali di sviluppo di una società civile. Ma cosa significa esattamente? Per giustizia sociale si intende “l’obiettivo di creare una società giusta ed equa in cui ogni individuo sia importante, i suoi diritti siano riconosciuti e protetti e le decisioni siano prese in modo equo e onesto”[1]. Partendo da questa definizione e tenendo in considerazione l’intenso percorso che ha caratterizzato la vita di Danilo Dolci, è inevitabile pensare a come abbia realizzato un cammino collettivo e partecipato verso la realizzazione di questo obiettivo, attraverso un’azione continua e quotidiana.
Il percorso di Dolci verso una società equa e giusta: condiviso, collettivo e partecipato
Quali sono state le coordinate di Dolci nel suo percorso di azione nonviolenta per garantire una società giusta ed equa? La sua azione – oltre a mettere al centro l’educazione – si è basata sempre sull’agire collettivo, in cui ogni individuo viene valorizzato e reso pienamente responsabile e allo stesso tempo agente di cambiamento della comunità. Senza questa presa di coscienza collettiva, il cambiamento delle condizioni di vita della popolazione è di breve durata, perché le eventuali azioni intraprese avrebbero poco sostegno nel modificare le esistenti strutture di potere che non permettono lo sviluppo, quel valorizzare che realizza la crescita organica e armonica degli individui. Proprio per questo il processo di creazione di una società equa e giusta non è improvviso, di rottura e – in fin dei conti – violento; è invece un lento consapevolizzarsi delle proprie radici e di bisogni e desideri collettivi, basi solide che orientano l’azione e che si articolano in una dialettica che dal livello individuale passa al livello di comunità: “l’assunzione di responsabilità di un popolo si matura attraverso assunzioni di responsabilità individuali e di gruppo”[2]. Questo dà luogo ad una vera rivoluzione nonviolenta, partecipata, collettiva, diffusa:
“Rivoluzione è curare il curabile
profondamente e presto,
è rendere ciascuno responsabile.Rivoluzione
è incontrarsi con sapiente sapienza
assumendo rapporti essenziali
tra terra, cielo e uomini: ostie sì,
quando necessita, sfruttati no,
i dispersi atomi umani divengano
nuovi organismi e lottino nettando
via ogni marcio, ogni mafia”[3]
“Se fa buio, fa buio per tutti”
Le connessioni fra persone sono fondamentali in questo processo: da soli non si va da nessuna parte. I nessi di cui tanto parla Dolci in molti suoi scritti sono quelle relazioni fra persone, “fili” tanto sottili quanto essenziali, da mantenere saldi in questa azione di cambiamento, che alimentano e dirigono il cammino della comunità verso obiettivi condivisi da tutte e tutti. “Ogni creatura può avere infinite, pur se invisibili, radici comunicanti con il mondo attorno, in ogni direzione. Gli occhi, le orecchie, la nostra pelle possono essere partenza di radici, di cordoni ombelicali”[4]. Un movimento collettivo impetuoso e senza tenere conto delle esigenze, dei nessi e delle radici di ogni creatura, ha poca strada davanti a sé. Come affermava il contadino Mimiddu – citato in uno dei dialoghi riportati su Conversazioni contadine – “noi non dobbiamo ragionare al singolare, dobbiamo ragionare ed essere al plurale, per tutti; che domani aggiorna, vero? Ma sto lustro è per tutta la gente, non è soltanto per me e per te; se fa buio, fa buio per tutti”[5].
Eventi di rottura
Insieme al processo di crescita della consapevolezza dei propri bisogni e desideri e dell’importanza delle relazioni interpersonali – avviato inizialmente con l’autoanalisi popolare e successivamente strutturato in maieutica reciproca – per instradare il processo di cambiamento verso una società più equa e giusta Danilo metteva al centro anche l’importanza di alcuni eventi “shock”, di rottura, che possano riattivare processi più profondi per avviare il cambiamento tanto atteso, soprattutto nei contesti più difficili:
“Ma in zone ferme o che non avanzano per moto proprio […], occorrono anche fatti nuovi, che diano esperienza che il cambiamento e lo sviluppo sono possibili; occorrono shock intensi, piccoli e grandi (campi dimostrativi, cooperative, scuole aperte e attive; industrie; o intervento massiccio di pratiche globali di sviluppo: o shock morali-pratici ecc.)”[6].
Se basato su desideri e bisogni condivisi, un’azione di shock o di protesta nonviolenta può avviare o facilitare un processo di cambiamento, dando luogo ad eventi simili, con un effetto domino sulla comunità tale da far crollare le strutture di potere antiche e far emergere nuove dinamiche favorevoli per tutte e tutti. Un fatto nuovo, uno shock intenso, dimostra infatti che un cambiamento è possibile, e aiuta la presa di coscienza, la consapevolezza e il passaggio a un’ulteriore azione di cambiamento. Commentando le diverse iniziative popolari che si sono avviate in seguito alla creazione della diga sullo Jato – come vedremo in seguito – Danilo stesso affermava: “L’evidenza della creatività suscita creatività in chi l’osserva”[7].
La parola come portatrice di utopie concrete
Al di là delle azioni individuali o collettive e con un impatto più o meno forte per smuovere le coscienze, la parola ha sempre avuto un ruolo determinante nell’azione di Dolci: Danilo ha sempre “saputo coniugare sguardo poetico e impegno civile”[8]. La parola – attraverso anche la forma della poesia – non è stata solo usata per documentare le terribili condizioni di vita delle comunità della Sicilia occidentale, ma è stata anche il mezzo della proiezione di quei “sogni” alla base dei dialoghi e dell’autoanalisi popolare, nei quali i desideri e i bisogni collettivi venivano tradotti in realtà. Sogni che però non significano utopie astratte che vogliono imporre “presunte perfezioni”[9], ma che invece sono state utopie concrete, motore dell’agire che ha mosso Danilo e la comunità in cui viveva.
Si tratta di un processo complesso, dove la piena consapevolezza individuale e collettiva diventa la leva per l’avvio di un percorso di sviluppo inarrestabile, in cui l’esperienza si trasforma in carburante inesauribile per avviare il cambiamento:
“Un uomo si impegna […] finché non sa di poter essere anche lui determinante sullo sviluppo e sulla sua direzione. È necessario dunque, […], impegnarsi con la gente a produrre fatti nuovi, a tutti i livelli, che diano a ciascuno esperienza che, e come, è possibile il cambiamento; e suscitare occasioni di vera comunicazione tra persone di cultura e di vita diversa”[10].
Tutte queste dimensioni – individuali, relazionali, collettive, poetiche, di comunità, con fatti che possano aumentare la consapevolezza della necessità di una società nuova – sono state la cornice in cui è possibile vedere trasversalmente alcune delle azioni più note di Dolci per garantire i diritti essenziali e una società più giusta ed equa.
Le prime proteste e il digiuno
Danilo Dolci arriva nel 1952 in Sicilia, a Trappeto, inserendosi in un contesto di povertà e in cui la cattiva politica e il potere clientelare mafioso soffocavano qualsiasi accenno di sviluppo. In seguito alla morte per fame di un bambino, per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle condizioni di assoluta povertà di quelle comunità, il 14 ottobre 1952 organizza il primo sciopero della fame: Dolci chiedeva alle istituzioni di intervenire per risolvere la situazione. Non era ovviamente da solo: altre persone, qualora fosse deceduto durante lo sciopero, lo avrebbero seguito fino a ottenere un segnale dalle istituzioni. L’evento shock ottiene una prima risposta da parte delle autorità e dell’opinione pubblica, con alcuni primi interventi nella comunità. A questo digiuno ne seguirono altri, come il “digiuno dei mille” sulla spiaggia di San Cataldo nel 1956, in cui centinaia di pescatori digiunarono per protestare contro la pesca di frodo, tollerata dal governo. Queste prime iniziative, che vedevano già la partecipazione di persone della comunità, non solo di Dolci, avrebbero permesso lo sviluppo di una coscienza collettiva che definiva intollerabile la situazione esistente e proponeva strumenti per attuare un cambiamento.
Lo sciopero alla rovescia
Il 2 febbraio del 1956 Danilo Dolci veniva arrestato mentre guidava un gruppo di braccianti a lavorare nella Trazzera vecchia, una strada nei pressi di Partinico abbandonata all’incuria dalle amministrazioni preposte. Al commissario di polizia che era intervenuto per interrompere quello Sciopero alla rovescia – chiamato così perché chi partecipa lavora gratuitamente realizzando opere di pubblica utilità – Dolci rispose che il lavoro non è solo un diritto, ma per l’articolo 4 della Costituzione un dovere. Anche qui, l’azione di Dolci porterà a una riflessione a livello nazionale sull’importanza della stessa Costituzione e sui diritti-doveri di ogni cittadino.
Un grande bacile
Il coinvolgimento della popolazione e i relativi incontri di autoanalisi popolare porteranno anche a quella che sarà la creazione della Diga sullo Jato. L’utopia concreta proposta era tanto semplice quanto geniale: data l’aridità dei terreni nella valle dello Jato e i livelli di controllo della mafia sulla distribuzione dell’acqua – utilizzata come vero e proprio strumento di dominio – l’unica soluzione trovata dai contadini era avere un enorme bacile, che potesse raccogliere l’acqua, non disperderla e distribuirla fra la popolazione:
“Un vecchio contadino, Zu Natale Russo, un giorno disse: “Qui d’estate per sei mesi non piove. E si produce poco, o niente. Ma d’inverno piove molto. E l’acqua per gran parte va sprecata. Non si potrebbe raccogliere quell’acqua in un bacile, in un grande bacile, per poi utilizzarla nell’estate?”. Aveva reinventata la diga”[11].
La creazione della diga avviò non solo uno sviluppo economico basato sull’acqua – un’acqua che non era più acqua di mafia ma “acqua democratica”– ma diventò la nuova leva per mutare la precedente struttura del potere e ravvivare l’interesse profondo della popolazione che, in una situazione economica e di diritti migliorativa, ha visto come il cambiamento sociale fosse possibile, soprattutto in maniera partecipata e nonviolenta.
La denuncia sociale
Si era accennato precedentemente all’importanza che la parola aveva all’interno dell’azione di Dolci, indirizzata al cambiamento sociale e al percorso verso una società equa e giusta. Un ruolo fondamentale in tutte le sue lotte nonviolente lo ha avuto la forte denuncia sociale in testi quali Inchiesta a Palermo, Banditi a Partinico, Processo all’art.4, Spreco e molti altri, con cui Danilo non soltanto denunciava nero su bianco – attraverso dati e descrizione puntuale dei fatti – ma narrava le vite disperate delle persone coinvolte, dando una dimensione umana a quella che normalmente sarebbe stata una semplice relazione fredda e superficiale su un determinato problema. Con la sua parola, Danilo riusciva a dare tridimensionalità alla sua narrazione: specifica, vera e soprattutto umana. Le sue pubblicazioni hanno dato una nuova luce al disagio estremo delle comunità in cui lavorava, contribuendo all’aumento della consapevolezza dei bisogni e della necessità di un intervento per dare dignità a migliaia di persone.
Per una società giusta ed eguale “a misura umana”
Gli eventi a cui abbiamo fatto riferimento sono solo alcune delle iniziative avviate da Dolci per assicurare la giustizia sociale a tutti i livelli. Come afferma Marco Grifo, con Danilo il processo di trasformazione sociale, economico e alla fine strutturale della comunità passa non soltanto da quelle conoscenze specifiche e di settore, ma inevitabilmente dalla “mobilitazione sociale, che mira sia alla conquista di opere fondamentali per il territorio, sia alla formazione di una società giusta ed eguale”[12]. Danilo Dolci ci ha donato una prospettiva inedita di lotta per una società equa e giusta, che include tutte le dimensioni dell’essere umano: la sua esperienza, la sua poetica, le relazioni, le parole, le risonanze che queste suscitano. Ogni elemento è un fattore imprescindibile per il cambiamento comunitario, tanto quanto l’inclusione di ogni membro della comunità.
[1] Oxford Reference: https://www.oxfordreference.com/display/10.1093/oi/authority.20110803100515279.
[2] Danilo Dolci, Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari, 1974, p. 239.
[3] Danilo Dolci, Poema umano, Mesogea, 2016, pag. 104.
[4] Danilo Dolci, Il Ponte Screpolato, Stampatori, Torino 1979, p. 21.
[5] Danilo Dolci, Conversazioni contadine, Il Saggiatore, 2014, p. 24.
[6] Ibidem, p. 26.
[7] Danilo Dolci, Nessi fra esperienza etica e politica, Piero Lacaita Editore, 1993, p. 227
[8] Giuseppe Barone, “Democratici, tutti si professano” Il dire e il fare di Danilo Dolci in Danilo Dolci, Ciò che ho imparato e altri scritti, a cura di Giuseppe Barone, Mesogea, p. 6.
[9] Pietro Polito, Note Critiche: Danilo Dolci (1924 – 1997), Teoria Politica, XXVII, (2001), p. 50 in Ibidem.
[10] Danilo Dolci, Ciò che ho imparato e altri scritti, a cura di Giuseppe Barone, Mesogea, p. 26.
[11] Danilo Dolci, Nessi fra esperienza etica e politica, Piero Lacaita Editore, 1993, p. 224.
[12] Gli Asini: https://gliasinirivista.org/le-reti-di-danilo-dolci-e-lorganizzazione-di-comunita-tra-mediazione-e-agitazione/, estratto da Marco Grifo, “Le reti di Danilo Dolci. Sviluppo di comunità e nonviolenza in Sicilia Occidentale (Editore Franco Angeli, 2021).